Dopo la presentazione torinese e la tappa in Sicilia, il Tour di Building Happiness. Esplorazioni sulla felicità degli spazi è arrivato a Bologna, ospite di Open Project, per una nuova occasione di confronto sul tema del benessere e della felicità negli spazi che abitiamo.
Dopo la presentazione torinese e la tappa in Sicilia, il Tour di Building Happiness. Esplorazioni sulla felicità degli spazi è arrivato a Bologna per una nuova occasione di confronto sul tema del benessere e della felicità negli spazi che abitiamo. L’incontro, organizzato in collaborazione con Open Project, si è tenuto il 27 ottobre nella sede di via Dolfi 7 e ha coinvolto professionisti, studiosi e cittadini in un dialogo aperto tra architettura, neuroscienze e politiche urbane.
Moderato dalla giornalista Isabella Clara Sciacca (Sign Press), il talk ha visto la partecipazione di Raffaella Lecchi, Coordinatrice della Fondazione per l’architettura / Torino, Davide Ruzzon, Direttore NAAD – Università IUAV di Venezia, e Michele d’Alena, Urbanista e Assessore del Comune di San Lazzaro di Savena. A introdurre l’incontro sono stati Maurizio Piolanti e Francesco Conserva, rispettivamente Presidente e Vicepresidente di Open Project.
Parlare di felicità è sempre un atto di coraggio. È un tema universale e complesso, che attraversa epoche e discipline, ma ogni volta che ne discutiamo riapriamo una domanda che riguarda tutti. Building Happiness nasce proprio per interrogarsi su come l’architettura possa avvicinarci a un’idea di felicità concreta, legata alle esperienze e alle relazioni. Perché la felicità non è un concetto astratto, ma un’esperienza possibile, che ci riguarda come individui e come collettività.
La felicità ha a che fare con il desiderio: una forza che ci muove e che, se riconosciuta e custodita, può trasformarsi in esperienza vissuta. L’architettura, in questo processo, gioca un ruolo fondamentale perché offre possibilità di relazione, di azione e di riconoscimento reciproco.
Nel progetto Building Happiness più della metà dei partecipanti non erano architetti: un segnale importante che mostra come la riflessione sul benessere nello spazio appartenga a tutti. La felicità è stata definita come la possibilità di fiorire, individualmente e collettivamente, e le emozioni si sono rivelate un linguaggio comune, un esperanto per dialogare su questo tema.
Parlare di emozioni nelle politiche pubbliche è, in sé, un gesto politico: riconoscere che la felicità deve trovare spazio tra i bisogni e le strategie per il benessere collettivo. L’isolamento e la distanza sono alcune delle grandi fragilità del nostro tempo, e proprio l’architettura può contribuire a contrastarle, creando le condizioni perché nascano ascolto, comunità e senso di appartenenza.
Le neuroscienze ricordano che non esiste un “io” isolato, ma solo un “noi”: la coscienza è condivisa, e l’architettura diventa la forma materiale di questa relazione. Disegnare uno spazio significa orchestrare un incontro tra corpi, presenze ed emozioni; e progettare, in fondo, è un esercizio di empatia e sensibilità.
Tra le immagini simboliche emerse nel percorso di Building Happiness ritorna spesso quella dell’albero: forma architettonica e memoria ancestrale, legata alla nostra storia evolutiva. Come l’albero, anche la soglia, la collina o la caverna sono archetipi che raccontano il nostro legame profondo con lo spazio e con la natura. Ritrovare questo legame è forse uno dei compiti più urgenti dell’architettura contemporanea: ricucire, nella materia costruita, la memoria di ciò che ci ha resi umani.