Che cos’è la felicità? È una condizione mutevole e momentanea di benessere, comfort e gioia. Coinvolge l’emotività, l’intelletto e il corpo: è dunque uno stato soggettivo dipendente da molte variabili. Possiamo dedurre che non esiste una sola felicità valida per tutti, ma tante felicità quanti sono «i mondi che si trovano nella mente degli uomini» (John Kirtland Wright).

Ma può l’architettura influenzare la nostra felicità? E, se sì, è possibile misurarne gli effetti? Sono le domande che hanno dato avvio al progetto Building Happiness, guidando la Fondazione in un’esplorazione generativa i cui risultati potessero fornire risposte efficaci alle comunità e proporre spunti per una rivoluzione dell’approccio progettuale.

Building Happiness ci ha accompagnati per tutto il 2024 in un lungo un percorso di incontri, approfondimenti ed esperienze per indagare la relazione tra spazi ed emozioni. Un programma caleidoscopico che ha messo in relazione l’architettura con molteplici discipline, sei format dedicati a un pubblico curioso e intergenerazionale.

Video di Andrea Guermani

Ogni luogo può generare felicità, ma dove accade davvero? E come?
Molti di voi sono diventati protagonisti di Building Happiness rispondendo al questionario on line, messo a punto per riflettere collettivamente sugli effetti che gli spazi costruiti generano sulle nostre emozioni. A breve divulgheremo i risultati raccolti e analizzati dal team di esperti.

Focus on architecture

Sembra che la relazione tra architettura e felicità sia stata indagata con maggiore popolarità non tanto dagli architetti quanto da filosofi-scrittori come Alain de Botton (Architettura e Felicità 2006), o da antropologi come Marc Augé (La felicità ha un luogo? 2011), mentre è più recente un approccio quantitativo degli architetti alla costruzione di “edifici felici”, che sfrutta tutte le possibilità tecnologiche dello smart building.

Tuttavia, l’approccio di Building Happiness vuole rimarcare la sua essenza culturale, con ricadute progettuali. L’architettura ha dirette conseguenze sulla qualità della vita delle persone, e da questa evidenza prende le mosse l’indagine sulla relazione tra architettura e felicità.

Se lo spazio è in grado di generare emozioni, progettando lo spazio possiamo progettare anche le emozioni?

È una domanda affascinante e di grande complessità: avere sull’argomento una maggiore consapevolezza significa tendere ad un’architettura costruita intorno alle persone e ai loro bisogni, riconoscere che il disegno degli spazi genera comportamenti e che gli architetti hanno una grande responsabilità sociale.

Ph: Archos_Forum Bertarelli © Mauro Davoli

Quantifying Happiness

Come si misura la felicità? Gli studi sulla felicità hanno da sempre avuto un ruolo importante nella storia del pensiero politico ed economico mondiale: nella dichiarazione d’indipendenza americana, ad esempio, si afferma che tutti gli esseri umani sono dotati di diritti inalienabili come la vita, la libertà e del celebre diritto alla felicità. 

Oggi, complice la tecnologia, gli economisti hanno accesso a molti dati che riguardano la felicità dichiarata delle persone e i fattori che la influenzano: ciò ha portato a un rinnovato interesse in economia nel comprendere la felicità e ha generato diversi indicatori socioeconomicoculturali per misurarla. Tra questi, l’indice della migliore qualità di vita dell’OCSE e l’indice di Felicità Interna Lorda del Bhutan, che affiancano il PIL come misura dello sviluppo di una regione. L’ONU ha commissionato il primo World Happiness Report nel 2013 e istituito l’International Day of Happiness.

Organizzazioni come l’Institute for Quality of Life di Londra e Il Sole 24 Ore in Italia pubblicano annualmente indici e classifiche che valutano la qualità della vita e il benessere in diverse città e territori. Infine, in città come Torino, si è recentemente aperto un dibattito mirato a creare un sistema di indicatori che misuri la felicità civica, includendo elementi come la relazione con lo spazio, la casa, l’ambiente circostante e le interazioni sociali.