Il commercio, l’architettura, il lavoro degli architetti

Giorgio Giani commenta l’apertura dei 13 nuovi supermercati a Torino sottolineando come la concentrazione di interventi metta a rischio la qualità urbana.

Nella vicenda dei 13 nuovi supermercati a Torino che ha riempito le pagine dei giornali in questi giorni, ho apprezzato il tono fermo e pacato di Giancarlo Bancheri, Presidente di Confcommercio, che nell’interesse della categoria che rappresenta e senza dimenticare lo sviluppo economico di tutta l’area territoriale torinese ed in generale dei suoi cittadini, ha criticato le scelte operate indicando linee differenti di azione. Ha fatto il suo “mestiere” e mi pare con un salto di qualità significativo: guardare e difendere i propri interessi, quelli di una categoria, ma tenere conto anche degli interessi generali, è una lezione (mi verrebbe da dire “formazione”) che anche noi dovremmo imparare, l’interlocuzione si deve fare in modo corretto, pacato, ma serrato e senza incertezze.

Dunque sarebbe utile anche da parte degli architetti, sapersi muovere con un po’ più di coraggio nei confronti delle amministrazioni territoriali, collaborare ed interloquire non significa accettare tutto a pacchetto chiuso, non può che esserci una discussione attiva sennò si tratta di sottomissione. Incalzare gli interlocutori senza timore è un diritto, basta farlo con autorevolezza, senza perdere dignità e rapporto con il ruolo sociale e la natura intellettuale della professione. Non è semplicissimo.

Perché parlare della vicenda dei centri commerciali?

Perché è evidente che anche gli architetti abbiano da perdere con questa decisione, che è orientata a risolvere un problema di bilancio certo, ma è anche vero che una tale concentrazione di interventi elimina la possibilità di avere una distribuzione più razionale e diffusa degli investimenti sul territorio; inoltre produce una concertazione di attività di progettazione in poche mani, diminuendo dunque le opportunità lavoro per molti altri. Detta in questo modo potrebbe sembrare una visione limitata e generata da un po’ di invidia, ma non è così.

L’equilibrio fra grandi investimenti concentrati e la distribuzione di investimenti diffusi e più limitati è garanzia non solo dello sviluppo di un tessuto economico che può rigenerarsi anche dal basso, ma anche presupposto per una migliore e più diffusa qualità della città oltre alla più elevata sostenibilità del suo sviluppo.

Ma se si parla di modello di sviluppo della città io penso che gli architetti debbano essere in prima linea non solamente per interesse di categoria, ma perché hanno le credenziali per sostenere un dibattito di interesse pubblico e generale.

Sono stati consultati? Penso proprio di no. Però è altrettanto vero che nessuno si è affacciato al dibattito come ha ritenuto giusto fare Banchieri.

Forse la ragione della sconfitta degli architetti è anche questa, scegliere di non entrare nel dibattito per non disturbare.
Non avete il sospetto che qualcosa vada cambiato?

 

Giorgio Giani
Presidente Fondazione per l’architettura / Torino